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24 maggio 1915: per non dimenticare. L’eroismo dei cittadini di Molfetta. Questa sera se ne parla all'Aneb
Giovanni Tritta e Francesco Regina
24 maggio 2018

MOLFETTA - All’Aneb (Associazione educatori benemeriti) di Molfetta (via Cap. de Gennaro n° 23), presieduta dal prof. Michele Laudadio, questa sera alle ore 18.30 si svolgerà un convegno per ricordare gli oltre 500 concittadini caduti nella Grande Guerra ed i 1.500 mutilati di guerra. Il relatore per le Associazioni Eredi della Storia – A.N.M.I.G. sarà il dott. Michele Spadavecchia (Presidente Associazione Eredi della Storia).

A partire dalle 21.30 i musei del Risorgimento e della Grande Guerra (via San Pietro n° 15) e degli Eroi molfettesi (piazza Mazzini n° 92) resteranno aperti a disposizione dei visitatori.

Per l’Estate Molfettese, le associazioni Combattentistiche e d’Arma presenteranno un programma con una serie d’iniziative a tema sulla Grande Guerra. Di volta in volta saranno date comunicazioni in merito. Per visite guidate si può contattare la segreteria al numero 3392028772.

Per non dimenticare l’ingresso nella Grande Guerra dell’Italia un ricordo di quel periodo che completò il Risorgimento italiano, scritto dalle Associazioni combattentistiche e dagli Eredi della storia.

“II Piave mormorava/ calmo a placido al passaggio/ dei primi fanti, il ventiquattro Maggio: l’esercito marciava/ per raggiunger la frontiera,/ per far contro il nemico una barriera”.

La Canzone del Piave descrive con toni patriottici l'ingresso del Regno d'Italia in guerra, nell'ambito del più ampio conflitto tra imperi centrali ed Intesa, contro il nemico risorgimentale per antonomasia: l'Austria - Ungheria. Tuttavia, in quel fatale ventiquattro Maggio del 1915 ad essere attraversato non fu il fiume Piave, bensì l'Isonzo. Su questo fiume, che all'epoca segnava il confine tra i due Paesi, si consumarono 12 sanguinosissime e feroci battaglie. Per 11 volte i fanti italiani costrinsero i nemici ad indietreggiare lentamente, facendo loro perdere la provincia di Gorizia e impedendo a Vienna di concentrare altrove i suoi sforzi.

Questi 11 scontri, chiamati dagli storici "le spallate", avevano intimorito le armate asburgiche al punto da richiedere l'aiuto umano e materiale del potente alleato tedesco: la Germania. Per questo motivo nessuno ricorda che ci fu anche una dodicesima battaglia dell'Isonzo, purtroppo passata alla storia come disfatta di Caporetto. Quella che però parve una inarrestabile avanzata nemica verso il cuore della pianura Padana si infranse come un onda contro un molo presso il fiume Piave. Ed è qui che l'esercito si riscattò dalla precedente e fresca sconfitta, bloccando in ogni punto del nuovo fronte le velleità di sfondamento degli austriaci.

Dunque, il 24 maggio 1918, a tre anni dall'entrata in guerra, l'esercito italiano era pronto a resistere all'ultima grande offensiva che di lì a poco si sarebbe svolta ed anzi già pensava al contrattacco. La sostituzione di Luigi Cadorna con Armando Diaz fu un toccasana per l'esercito: furono migliorate le condizioni di vita dei soldati, effettuata una maggiore turnazione in prima linea, vennero vietate decimazioni e fucilazioni sul posto e venne creato il corpo degli Arditi per compiere azioni veloci e incisive.

Fu in quei mesi di 100 anni fa che, forse per la prima volta, si formò una coscienza italiana nella giovane nazione e tutte le forze del paese di concentrarono per superare il trauma della sconfitta di Caporetto e passare al contrattacco. Per lo scatenare l'offensiva finale, Diaz scelse il ventiquattro ottobre: nel 1917 gli austro-tedeschi attraversarono l'Isonzo per invadere l'Italia; nel 1918 gli italiani fecero lo stesso con il Piave.

Cento anni fa, però, la battaglia di Vittorio Veneto era lontana dall'essere combattuta e dobbiamo fare lo sforzo di immaginare la tensione dei soldati che dopo aver stabilizzato il fronte devono fornire la prova più importante: mantenere salda la nuova linea. Con coraggio, sacrificio, altruismo, abnegazione e sprezzo del pericolo ci riusciranno; ed è per questo che dobbiamo ricordarli, questi italiani di 100 anni fa, come esempio di unità di intenti e di virtù nel momento di maggior pericolo della loro (giovane) nazione".

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