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1° maggio a Molfetta, la Cgil: una festa del lavoro per superare la crisi, per occupazione, per coesione sociale Mercato del lavoro efficiente per garantire una buona occupazione, fisco equo e crescita economica: questi i temi della festa del lavoro 2012
29 aprile 2012

MOLFETTA - «La disoccupazione si combatte attraverso politiche industriali che diano impulso ad uno sviluppo economico e produttivo che trovi radici nella qualità del lavoro, nella legalità e nella sostenibilità, e sia in grado di assicurare un futuro ai lavoratori e alle loro famiglie,ai giovani e agli anziani». Così la Cgil Molfetta introduce la giornata del I Maggio, che a Molfetta si articolerà in una serie di momenti. Alle ore 9,30 la deposizione di fiori presso le tombe delle vittime della Truck Center e in ricordo di tutte le vittime del lavoro che Molfetta ha dovuto piangere in questi anni, dalla Moby Prince al Francesco Padre, dall'Ilva ai cantieri edili.
Alle ore 10 partirà il corteo dalla sede della Camera del lavoro CGIL (via Orsini) e da Piazza Garibaldi si snoderà per le vie di Molfetta, terminando nella villa comunale con la deposizione di una corona di fiori al busto di Giuseppe Di Vittorio.
«È necessario che il Governo mantenga ed estenda uno stato sociale inclusivo, fondato sul principio dell'equità fiscale, che garantisca diritti e tutele a lavoratori e pensionati, e offra l'accesso universale alle prestazioni essenziali a tutti i cittadini - la posizione della Cgil Molfetta -. Lavoriamo insieme per eliminare la corruzione a tutti i livelli e i costi impropri che fanno capo alla politica e ai politici».
 
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1° Maggio. Festa del lavoro – Mancano pochi minuti alle 10 del mattino del 1°maggio 1947, un giovedì. A Roma, Togliatti parla agli operai scesi in piazza per rinnovare, dopo l'oscura parentesi fascista, l'antica consuetudine di ritrovarsi in occasione della Festa del lavoro. La cerimonia più pittoresca è prevista a Portella della Ginestra, una località di non agevole accesso sui monti alle spalle di Palermo, nei pressi di Piana degli Albanesi. Da San Giuseppe Jato e da San Cipirello sono arrivate almeno 2.000 persone, quasi tutti contadini. Per venire fin quassù, hanno viaggiato di notte, a piedi e con i carri, a cavallo e a dorso di mulo. In attesa che cominci il comizio, gli uomini si ristorano mangiando pane, formaggio e fave fresche, mentre le donne arrostiscono saporiti quarti di montone su piedi improvvisati. Il sole, che sbuca dagli aspri contorni di Pizzo Pèlavet e dal monte Kumeta, esalta il rosso dei vessilli. Le ragazze indossano costumi variopinti tramandati dalla tradizione e depongono fasci di fiori su una lastra di marmo murata sopra un rilievo del terreno. E' il podio di Nicola Barbato: per lo meno, così lo chiama la gente. Questo Barbato era un socialista che faceva il medico a Corleone e, nel 1892, aveva dato vita ai Fasci Siciliani, finendo in galera per 12 anni. Grande protettore dei proletari e degli oppressi (i suoi fasci erano molto diversi da quelli che, in seguito, sarebbero stati creati da Mussolini), Barbato aveva una mania: il 1° maggio di ogni anno, si recava in pellegrinaggio a Portella della Ginestra e, dopo essersi arrampicato su un masso, arringava la folla, scatenandola contro il malgoverno. La sua morte, avvenuta nel 1923, non aveva interrotto questa particolare consuetudine: anzi, tutti gli oratori che, da allora, si erano avvicendati nella zona avevano dovuto parlare proprio dal suo “podio” C'era salito perfino Pietro Nenni. Oggi, 1° maggio 1947, questo onore dovrebbe toccare a Girolamo Li Causi, un deputato siciliano (socialista prima, poi comunista) che torna nella sua terra dopo sedici anni trascorsi nelle prigioni del duce. E' imbarazzato, perché non ha dimestichezza con i microfoni. Dice: “Amici, compagni, siamo qui riuniti……” Ma la sua voce viene soffocata da uno sparo lontano, seguito dal secco crepitio delle mitragliatrici. I muli sobbalzano, si leva qualche grido. “Gesummaria, ci sono anche i botti”, mormora Vincenzina Liotta. Ma, proprio in quell'istante, sente un dolore lancinante alle gambe e crolla bocconi nella polvere. Cade anche sua figlia Celestina, con un polmone trapassato da una pallottola. Muoiono Giovanni Megna, Vito Allotta, Francesco Vicari, Serafino Lascari e Vito Di Salvo. Un giovane afferra la fidanzata e si getta su di lei per ripararla, ma una raffica gli strazia la schiena. La banda di San Cipirello continua a suonare, mentre la piccola Enrichetta, 4 anni non ancora compiuti, vaga singhizzando sul pianoro alla ricerca dei genitori. Ha in mano una bambolina di pezza: la stringerà ancora a sé quando la porteranno all'ospedale con tre proiettili conficcati nell'addome. E' una carneficina. Sparano dalla montagna, dall'alto verso il basso. L'odore del sangue, ora, prevale su tutto e soffoca il mprofumo del verde e gli aromi dei cibi. Margherita Clesceri è sdraiata sul prato, sembra quasi che dorma. Intorno, singhiozzano i suoi cinque figli; il sesto lo portava in grembo: avrebbe dovuto nascere fra tre mesi. Carmelo, il vecchio fotografo di Piana degli Albanesi, la guarda con le lacrime agli occhi, poi si gira verso la montagna assassina e grida con tutta la voce che ha in gola: “Colpite me, stirpe velenosa”. Ma le sue parole si perdono nel vuoto. Non sparano più, ora, e il silenzio è rotto solo dal pianto delle donne e dei bimbi, dalle imprecazioni e dai lamenti. L'apocalisse a Portella della Ginestra è durata poco più di dodici minuti, ma sembra che sia passata un'eternità. Sulla montagna rimangono 1.800 bossoli. I morti sono undici, i feriti cinquantasei. ERA IL 1° MAGGIO, FESTA DEL LAVORO!!!
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